…Intorno ai 6 anni, con l’inizio dell’alfabetizzazione intesa come addestramento formale, il bambino accede alla lingua scritta mediante la scrittura e la lettura. In questo modo egli dà il via a quel processo di svincolamento del pensiero dal contesto che porta allo sviluppo delle abilità logico-formali, che caratterizzano la nostra cultura. Il linguaggio infatti diventa strumento di autonomia cognitiva e, attraverso la lingua scritta, si avvia la sistematizzazione del pensiero in un modello logico; vengono elaborati i concetti astratti ed ipotetici; si costruiscono modelli razionali. La parola viene in qualche modo fermata dalla scrittura e, indipendentemente da chi l’ha prodotta, acquista quel carattere di permanenza che faceva dire ai latini verba volant, scripta manent.

La differenza tra lingua verbale e lingua scritta però non è soltanto nella modalità di espressione, ma sta sopratutto nel fatto che i due linguaggi sono due diversi modi di conoscere e quindi di rappresentare la realtà. Il primo è ancora strettamente legato e dipendente dal contesto, perché è lo strumento dei comportamenti sociali in cui condividiamo il significato delle parole con i nostri interlocutori; il secondo opera una decontestualizzazione del pensiero della situazione spazio-temporale, richiedendo modalità esplicite e autosufficienti.

Anche se oralità e scrittura sono strettaemnte connesse, tuttavia si possono fare alcune distinzioni: una di queste riguarda gli scopi che nel parlato e nella scrittura sono diversi; vi è infatti per consuetudine un uso differente dei due codici linguistici per attività, argomenti, relazioni personali diverse. Ad esempio, le domande di lavoro o gli archivi sono propri della scrittura, mentre le conversazioni quotidiane appartengono al parlato e nessuno si sognerebbe di utilizzare un codice al posto di un altro.

 

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