Chi è l’assistente alla comunicazione?

La domanda nasce spontanea poiché non esiste un riferimento legislativo preciso e particolareggiato o una formazione chiara e pertinente nel nostro territorio. Ossia esistono corsi di formazione adeguati, ma non sono presenti su tutto il territorio oppure non sono tenuti annualmente.
Carenza di leggi, di scuole di formazione, di libri, di chiara informazione portano a farne della figura un’indistricabile matassa di equivoci e pregiudizi.
L’assistente alla comunicazione opera in campo scolastico, di qualsiasi grado, ove sono presenti bambini-ragazzi-adolescenti sordi (o sordastri) segnanti o oralisti, figli di genitori sordi o di genitori udenti.
L’assistente alla comunicazione non sostituisce l’insegnante di sostegno ma coopera con essa, può anche coprire ore scolastiche in cui non è presente il docente di sostegno.
In alcuni casi, l’assistente alla comunicazione si trova ad operare da sola senza l’insegnante di sostegno perché l’equipe medica o l’ASL non hanno assegnato al discente il sostegno in quanto nel discente (sordastro, in genere)  non è stato evidenziato alcun ritardo cognitivo.
Segno questo di scarsa conoscenza di cosa vuol dire: “non sentire”.
Essere sordo, precisiamo non vuol dire essere stupidi (ritardo cognitivo), ma rischiamo di divenirlo, se famiglia, scuola e società non sanno tenerci per mano.
Il ruolo dell’assistente alla comunicazione è quello di mediare, di fare da ponte tra il bambino sordo/sordastro e l’ambiente scolastico formato da persone udenti.
La mediazione può avvenire sotto forma di traduzione dalla lingua italiana alla Lingua dei Segni Italiana (LIS) oppure ripetendo oralmente i dialoghi della classe stando di fronte al bambino ed attraverso le nostre labbra il bambino attingerà tutte le informazioni senza alcuna forma segnica o gestuale. La scelta dipende dalla famiglia.
È importante che non vi spaventiate della Lingua dei segni, l’assistente alla comunicazione non opera solo come mediatore linguistico ma anche come mediatore sociale e culturale.
Spero di non avervi spaventato con queste parolone, in pratica l’assistente alla comunicazione lavora anche per sostenere gli insegnanti nel lavorare con un bambino sordo.
Vi è mai capitato che da piccoli, i vostri figli sordi siano stati accusati di essere aggressivi, copioni, che non capiscono niente?
Ebbene, tutte queste accuse non sono vere. I vostri figli hanno dovuto “copiare” perché la maestra non è stata chiara quando ha consegnato un compito, sono stati “aggressivi” quando hanno cercato di comunicare qualcosa di cui non conoscevano ancora la parola ed in gesti nessuno li capiva, non hanno potuto capire perché hanno comunicato con loro attraverso le parole, i suoni che non sono percepibili con gli occhi. Tante accuse da gente che non si è occupata veramente di noi, che non ha mai letto un libro sulla sordità, che non ha mai pensato cosa vuol dire non sentire.
Molte volte, nella comunicazione tra udenti e sordi, nella modalità sonora, gli udenti si illudono che il sordo abbia compreso la comunicazione nel momento in cui egli ripete una o due parole dette da loro. In verità non ha compreso tutto, meno una o due parole.
Un’assistente alla comunicazione, oltre a studiare la lingua dei segni, studia e comprende la sordità, riesce ad immaginare cosa vuol dire non sentire e grazie alle esperienze continue che vivrà, comprenderà sempre di più le situazioni ed i bisogni dei bambini sordi.

Cosa fa l’assistente alla comunicazione?

L’assistente alla comunicazione ha il compito principale di mediare la comunicazione tra il bambino e le persone presenti nel contesto scolastico nel quale opera: insegnanti curriculari, docenti di sostegno, compagni di classe, ausiliari, segretari e dirigenti. Poiché opera principalmente a scuola, l’assistente alla comunicazione svolge anche una funzione di supporto all’apprendimento.
È di fondamentale importanza che l’assistente collabori con tutte le figure presenti nella scuola, in modo da metterle in contatto e contagiarle nella comunicazione col bambino, rimanendo sempre neutra nella traduzione, in quanto non deve filtrare messaggi, informazioni, contenuti.
Il suo ruolo è quello di essere un ponte comunicativo, un vero ponte che consenta che i dialoghi passino da una parte all’altra, creando una possibilità di passaggio, anche spontaneo.
I compiti fondamentali dell’assistente alla comunicazione si dividono in due direzioni:

  • facilitare la comunicazione dello studente sordo nel contesto scolastico;
  • rendere accessibile, allo studente, l’insieme dei contenuti scolastici e delle informazioni circostanti.

L’assistente alla comunicazione deve avere conoscenze nell’ambito della sordità, della psicologia dell’età evolutiva, della pedagogia, dell’antropologia, deve conoscere la storia, il mondo e la cultura dei sordi, partecipare a tutte quelle manifestazioni nelle quali lingua e cultura sorda si estrinsecano.
Deve avere abilità di labiolettura e orecchio allenato alla fonazione del bambino sordo.
Deve avere conoscenza e coscienza di essere un operatore in rete, cioè deve coordinare il proprio lavoro con quello degli altri operatori. Infatti, varie sono le professionalità specializzate con cui collaborare durante l’educazione del bambino sordo: l’otorino, il protesista, il neuropsichiatra, l’assistente sociale, il logopedista, lo psicomotricista, l’insegnante, il docente di sostegno.
L’assistente alla comunicazione deve essere sempre cosciente del suo ruolo e non deve confonderlo con la funzione docente, che spetta in piena libertà agli insegnanti. Egli non è un docente, è un mediatore che favorisce e rende scorrevole la comunicazione tra soggetto sordo e mondo circostante. Ad alcuni assistenti è capitato che il docente curriculare abbia chiesto loro di spiegare la lezione all’alunno in quanto non si sentivano adeguatamente attrezzati nel farlo loro. Ognuno ha il suo compito: l’assistente deve assistere a che tra le due parti la comunicazione scorra fluida.
L’assistente alla comunicazione deve essere una persona serena ed equilibrata sia a livello psicologico sia a livello comportamentale. Può infatti accadere che il legame affettivo tra lui ed il bambino sordo sia così forte da far sì che egli si sostituisca al bambino stesso.
L’obiettivo dell’assistente alla comunicazione è quello di rilevare le competenze comunicativo-linguistiche dello studente sordo per poterle potenziare ed accrescere.
Nell’ambito scolastico i docenti conservano il loro ruolo e la loro responsabilità del progetto educativo mentre l’assistente alla comunicazione collabora e concerta con loro la pianificazione delle lezioni, mediante strategie di visualizzazione dei contenuti.
Il piano di lavoro dell’assistente alla comunicazione si riferisce alla sfera dell’apprendimento scolastico e sociale e probabilmente questa rappresenta un versante delle aspettative e richieste della famiglia e dell’istituzione scolastica; nella realtà spesso l’assistente alla comunicazione si trova però a dover rispondere su altri piani più complessi di relazione, ad esempio quello emotivo-affettivo, che si costruisce inevitabilmente nel tempo, o le dinamiche relazionali che si instaurano nel gruppo classe. Queste dimensioni richiedono sensibilità ed attenzione nella risposta, ma soprattutto la consapevolezza che, prima di tutto, offrono ascolto, accoglienza e sostegno a un bisogno emotivo e non solo ad un chiarimento cognitivo.
L’assistente alla comunicazione deve mettere in atto tutte le sue risorse personali, esperienziali, culturali per rispondere ai bisogni educativi speciali dell’alunno. La complessità del lavoro, rischia di sovraccaricare emotivamente l’assistente facendolo crollare nel burnout, ossia in uno stato psichico nel quale il vissuto dell’operatore è quello di sentirsi saturato, demotivato, bruciato. “Il burnout è una sindrome di esaurimento emotivo, di spersonalizzazione e di riduzione delle capacità personali che può presentarsi in soggetti che per professione si occupano della gente”.
Poiché la professione di assistente alla comunicazione non è stata ancora riconosciuta, è fondamentale che egli abbia una buona consapevolezza del suo ruolo, che riconosca i limiti e i confini, senza prendere in prestito comportamenti e strategie di altre professioni. Pertanto, l’assistente alla comunicazione necessita un percorso di formazione che consideri le conoscenze e le competenze specifiche, delle dinamiche di gruppo ed anche gli aspetti emozionali e dinamici dell’intervento. Oltre ad un corso di formazione, nell’ambito lavorativo l’assistente alla comunicazione necessita di incontri periodici con i colleghi presenti sul territorio, per potersi confrontare, sostenere e chiedere un aiuto laddove le situazioni lo richiedano. In molti contesti scolastici, l’assistente alla comunicazione si sente solo, viene escluso dalle decisioni importanti riguardanti il bambino. Se viene sostenuto dall’ente che eroga il servizio, si può prevedere l’intervento dell’ente stesso nelle situazioni problematiche soprattutto laddove l’assistente incontra una serie di difficoltà: la non accettazione della sua professionalità o della Lingua dei Segni. L’ente può intervenire attraverso la partecipazione alle riunioni previste per i ragazzi diversamente abili, come ad esempio quelle istituzionali, ne è un esempio il GLH (Gruppo di Lavoro sull’Handicap, previsto dalla legge 104/92, dal successivo decreto ministeriale 26 giugno 1992 e dalle CM 258/83 e 262/88) o durante la stesura del PEI (Piano Educativo Individualizzato, documento redatto congiuntamente dagli operatori sanitari individuati dalla ASL, dagli insegnanti curriculare, dai docenti di sostegno, ed ove presente, dall’insegnante operatore psico-pedagogico in collaborazione con la famiglia). In questi contesti, la presenza dell’assistente sarà funzionale e producente, in primo luogo perché alle sue spalle vi è un ente reale che la sostiene, in secondo luogo perché può offrire il suo contributo come professionista.