Da piccola non ho mai avuto un’assistente alla comunicazione o un educatore sordo…ma se avessi avuto al mio fianco, durante la mia infanzia, un educatore sordo, non avrei perso tempo, occasioni, esperienze in vergogne, timori per colpa del non sentire, non avrei rinunciato a “molto”, non mi sarei sentita l’unica sorda e deficiente al mondo.
Se avessi avuto un educatore sordo al mio fianco, durante i miei primi passi, avrei scoperto e compreso la mia sordità, avrei apprezzato e lavorato meglio nel mio quotidiano per il mio futuro, avrei amato di più la vita.
Un conto è scoprire tutto ciò da piccoli, il prima possibile, altra cosa dopo 20 anni, ci sono lacune che ti segnano per sempre.
Grazie ai sordi che aiutano i sordi, che ci educano ad amare la vita, ad essere diversi nel mondo di tutti e a saper parlare con tutti.
Anonima pugliese
Da una ricerca sostenuta dal CNR di Roma, risulta che il 95% dei bambini sordi nasce in famiglie i cui genitori sono udenti; molti di questi ambienti risultano impreparati ed inadeguati all’accoglienza del bambino ed nell’accompagnarlo nel suo percorso di crescita. Una focalizzazione forzata sull’apprendimento della lingua vocale danneggerebbe buona parte della crescita del bambino.
Il non conoscere le problematiche del sordo, porta ad instaurare pessimi rapporti col sordo, come spesso accade tra genitori udenti e figli sordi, compromettendo le relazioni affettive, sociali e la salute psicologica del loro bambino.
Se la famiglia non è sostenuta nel momento in cui scopre la diagnosi del bambino, la comunicazione tra madre – padre – figlio si spezza e di conseguenza vengono meno i compiti della famiglia di accoglienza, di contenere i suoi disagi psicologici, di instaurare una relazione empatica, di comprensione e di supporto, vengono meno le gratificazioni emotive necessarie per un buon sviluppo emotivo, cognitivo e linguistico.
In ragione di queste problematiche, il CNR di Roma ha pensato ad una figura educativa che intervenga in contesti familiari formati da genitori udenti con figli sordi, alla quale manca un punto di riferimento, un modello di persona sorda: l’educatore sordo, definito oggi assistente alla comunicazione sordo.
L’assistente alla comunicazione sordo interviene principalmente nei primi anni di vita del bambino sordo sia nell’ambito domiciliare sia nell’ambito scolastico.
La presenza di un’assistente alla comunicazione sordo nell’ambito domiciliare, consente alla famiglia, da un lato di recuperare le aspettative e i desideri del figlio sordo, dall’altro la possibilità di proiettare la sua immagine nel futuro perché rappresenta un possibile modello adulto di persona sorda. Questo può contribuire a facilitare il processo di elaborazione del lutto, del bambino desiderato e non nato: il bambino udente attraverso il quale rispecchiarsi.
Nei confronti del bambino sordo, l’assistente alla comunicazione ha il compito di mostrarsi come persona sorda, adulta, tranquilla, serena e realizzata nella vita. Insegnerà al bambino ed alla famiglia la Lingua dei Segni affinché i vari membri possano comunicare tra di loro, gli spiegherà le piccole cose che lo circondano, potrà raccontargli le favole, in modo che non gli venga negato anche questa piccola parte della vita fantastica ed immaginaria.
Compito dell’assistente alla comunicazione sordo è dare fiducia al piccolo e sostenerlo nella sua possibilità di divenire grande.
Questa figura professionale è stata pensata perché molti sordi divenuti poi adulti, hanno raccontato che quando erano piccoli hanno sempre pensato che non sarebbero mai divenuti grandi perché non incontravano mai adulti sordi, oppure hanno creduto che crescendo sarebbero divenuti udenti. Di conseguenza ciò ha portato ad affrontare una grande crisi esistenziale nel periodo preadolescenziale ed adolescenziale.
Il lavoro dell’assistente alla comunicazione sordo è collegato allo sviluppo della comunicazione del bambino, attraverso la collaborazione di persone coinvolte, per esempio la famiglia, la scuola e la comunità, definiti come ambiente, che circondano il bambino.
L’assistente alla comunicazione offre un codice comunicativo, preferibilmente quello naturale, segnico, fa scoprire al bambino il piacere di comprendere e farsi comprendere, di confrontarsi, sostenendo così il futuro sviluppo di costruzione della sua identità. L’insegnamento della LIS non è vista nell’ottica di un’unica lingua da insegnare al bambino, ma come base necessaria per poter comprendere ed apprendere anche la lingua italiana, che gli permetterà di leggere, di accedere ai contenuti scolastici ed ai dialoghi con gli udenti.
Nella vita quotidiana la comunicazione educa il bambino alla competenza linguistica della lingua acquisita, allo sviluppo dell’identità, alla conoscenza della propria cultura, alla costruzione della propria personalità, all’autonomia, stimola il bambino alla comunicazione con le persone presenti nell’ambiente.
L’assistente alla comunicazione sordo può operare anche nell’ambito scolastico. Funzionale ed efficace è il suo intervento nella scuola dell’infanzia.
La presenza dell’assistente alla comunicazione sordo a scuola serve sia per favorire l’integrazione scolastica sia per far riflettere gli insegnanti sulla situazione problematica della sordità.
Nello specifico, l’assistente alla comunicazione sordo favorirà il processo d’integrazione attraverso l’insegnamento della Lingua dei Segni sia al bambino sordo che ai docenti e ai compagni, in modo che il bambino sordo possa comprendere ed essere compreso all’interno della comunità degli udenti. Con la presenza dell’assistente il bambino sarà protetto dai fenomeni di incomprensione, di equivoci, di isolamento, da atteggiamenti aggressivi che assume quando non riesce a farsi capire o a comprendere l’altro.
La presenza in classe di una persona che ha competenze linguistiche, e non solo, psicologiche, pedagogiche e didattiche, diventa un’occasione di arricchimento e di riflessione, di stimolo positivo verso le tematiche della diversità.
L’assistente alla comunicazione sordo, oltre ad avere il compito di educare il bambino sordo alla competenza linguistica, ha anche il compito di trasmettere la cultura del popolo sordo, di costruire la personalità del bambino e di renderlo autonomo. Opera sul giudizio critico e riflessivo delle esperienze, portando così l’allievo non solo a capire, a denominare, a spiegare le esperienze stesse, ma anche a riconoscere le relazioni con altri vissuti ed altre conoscenze.
L’assistente alla comunicazione agisce in base a tre essenziali obiettivi: comunicativo, linguistico, educativo.
Comunicativo: l’educatore stimola il bambino a comunicare in Lingua dei Segni, affinché il bambino acquisisca la sua lingua naturale. Una volta che il bambino acquisisce il suo codice linguistico, diventa più facile insegnare un seconda lingua, come l’italiano parlato e scritto. Ovviamente, il percorso di apprendimento della seconda lingua sarà più lungo rispetto all’acquisizione della Lingua dei Segni, quale lingua naturale del popolo sordo.
Linguistico: l’educatore pone attenzione alla struttura linguistica e grammaticale della LIS. L’obiettivo è quello di evitare gli errori ortografici, tenendo conto delle regole fonologiche, morfologiche, morfosintattiche e sintattiche della LIS che le ricerche linguistiche hanno messo in evidenza.
Educativo: l’educatore deve anche tener conto delle finalità educative più generali sulla crescita del bambino o del ragazzo. Deve stimolare il bambino a comunicare con l’ambiente circostante, favorire la comunicazione spontanea, devo stimolare le persone non segnanti (genitori, insegnanti, ecc.) ad approcciarsi al bambino con gesti, materiale visivo e didattico; dare suggerimenti agli insegnanti sulle strategie comunicative, le tecniche didattiche utili per una migliore comprensione del bambino; deve sensibilizzare gli udenti alle problematiche della sordità, fornendo varie informazioni e materiali: libri, riviste; deve sforzarsi di mantenere un rapporto equilibrato: non deve limitarsi esclusivamente al mondo dei sordi ma avere rapporti anche con il mondo degli udenti.
Il ruolo dell’educatore comporta una vasta gamma di obiettivi collegati l’uno all’altro e questo comporta un lavoro complicato, ma interessante per verificare la propria capacità di adattarsi alla situazione e verificare gli scopi raggiunti.
Essere educatore sordo è molto complesso, in quanto egli vive in due mondi diversi, sordi e udenti, e con due modalità espressive diverse.
“La presenza di una persona adulta segnante rappresenta in queste esperienze una figura essenziale non solo per trasmettere ai bambini la Lingua dei Segni, ma anche per dare loro la fiducia di poter diventare grandi.  Per i bambini sordi figli di genitori udenti, infatti, abituati ad avere rapporti solo con coetanei e adulti udenti, la percezione della propria differenza può essere tanto esasperata da indurli a credere di non poter crescere e avere una propria vita (una famiglia, un lavoro, degli amici) come le persone udenti”.
“Mi ricordo che una volta, due bambini mi hanno detto: << da grande voglio fare insegnare i segni come te!>> ed io ho risposto: <<Si, se vi piace è possibile farlo.>> Invece, io da piccolo pensavo che i sordi fossero persone di poco valore e non potessero fare nulla di significativo”.
Una persona sorda sceglie la professione dell’assistente alla comunicazione perché vuole riparare quel vissuto, quei sentimenti che ha provato nel suo passato e da adulto li proietta nel bambino pensando di essere la sua ancora di salvezza; ciò necessita una chiara esplicitazione ed elaborazione dei propri sentimenti per raggiungere una consapevolezza emotiva e un loro utilizzo positivo.
È importante che l’assistente alla comunicazione sordo abbia una buona consapevolezza del suo sé, della sua storia personale, della ricchezza delle sue esperienze e delle sue emozioni per potersi avvicinare al bambino sordo, per comprenderlo quando è in difficoltà, per capire quando aiutarlo e per consentirgli di sperimentarsi, di raggiungere autonomamente piccole conquiste e sicurezze personali, sviluppando una fiducia di base in sé ed un sentimento di autostima.
Nel prepararsi a divenire assistente alla comunicazione, la persona sorda attraversa diversi stadi riguardanti la propria identità linguistica, che possono essere di grande peso:

  • prendere coscienza del proprio uso della lingua. Dal momento che segnare è stato tradizionalmente parte di una conoscenza e di un uso inconsapevole delle persone sorde e pochi hanno ricevuto un educazione formale alla LIS, è rilevante sensibilizzare l’assistente alla comunicazione sordo a riflettere sul proprio comportamento linguistico;
  • acquisire consapevolezza delle varietà linguistiche. Le classiche regole di socio-linguistica ci dicono che le persone sorde parlano con la voce con un udente (e talvolta l’italiano segnato) e con la LIS soltanto fra gruppi esclusivamente sordi. Un’assistente alla comunicazione sordo dovrà saper usare la LIS anche in presenza di un pubblico composto sia di bambini sordi che di bambini udenti;
  • avere cognizione della flessibilità di una lingua, che abitualmente è utilizzata per comunicare e colloquiare, ma comprendere che è possibile usarla per scopi didattici o manipolarla, adattandola alla comunicazione con bambini di diverse fasce d’età.“L’assistente alla comunicazione udente facilita il passaggio di informazioni, ma è l’educatore sordo che accende il desiderio d’imparare nel bambino”.

“L’educatore deve operare per far sì che l’educando si avvii a camminare con le proprie gambe, a farcela da solo: paradossalmente, il fine ultimo dell’educatore deve essere quello di fare in modo che la sua presenza non sia più necessaria. L’educatore deve saper modificare se stesso nella relazione, deve sapersi allontanare progressivamente, affinché il soggetto in difficoltà possa divenire protagonista dei traguardi che raggiunge”.