La richiesta in genere, del servizio di assistente alla comunicazione, da parte delle famiglie non avviene immediatamente col percorso scolastico iniziale del figlio, soprattutto qualora si tratti di una famiglia udente. Ciò perché la figura dell’assistente alla comunicazione è associata alla evidenziazione sia della diversità del proprio figlio sia al timore dell’apprendimento della Lingua dei Segni.
Solo quando i genitori si rendono conto che i loro figli rimangono indietro rispetto al resto della classe, che hanno delle difficoltà a seguire la lezione frontale su lettura labiale per cinque-sei ore giornaliere e solo quando i ragazzi iniziano a manifestare il loro disagio e la loro incomprensione attraverso l’assunzione di atteggiamenti aggressivi difficili da contenere iniziano a considerare l’assistente alla comunicazione una risorsa.
In pratica, i genitori iniziano a considerare la figura quando vivono piccoli fallimenti e ciò avviene quando il bambino ha terminato il primo o come capita spesso il secondo ciclo scolastico.
Qualora un’assistente alla comunicazione inizia un percorso educativo con un discente sordo nell’ambito di una classe di scuola media superiore di secondo grado, si troverà ad affrontare un mare di lacune e problematiche irrisolte nel bambino che si sono trascinate sino a quel momento. In queste situazioni, per l’assistente alla comunicazione possono generarsi difficoltà e vissuti di disagio e di instabilità professionale, soprattutto qualora viene vietata la modalità comunicativa segnica. Diverso è se essa comincia dal principio.
In ogni caso, la scelta educativa e riabilitativa è sempre della famiglia e può essere di tipo diverso: oralista, bimodale o bilingue.
Ultimamente, grazie all’esperienza positiva delle assistenti alla comunicazione, alla diffusione del servizio ed alla comprensione della sua utilità sta emergendo maggiore consapevolezza nei genitori che presto sanno informarsi e preoccuparsi dell’educazione dei loro figli, infatti stanno lentamente crescendo le richieste dell’assistente alla comunicazione udente sin dalla tenera età.
La presenza di un’assistente alla comunicazione a scuola rappresenta per la famiglia una rassicurazione circa la capacità del figlio di potersi esprimere, una garanzia che il bambino sarà rispettato, che sarà stimolato ad affrontare le difficoltà. Attraverso un aiuto professionale, la famiglia acquista anche la consapevolezza che le difficoltà si possono superare; una rassicurazione emotiva rispetto al rischio di isolamento e di incomprensione del bambino ed a una condivisione delle scelte educative operate.
Più ardua è invece l’accettazione dell’assistente alla comunicazione sordo che dovrebbe operare durante i primi anni di vita del bambino. Questa figura vive nel pregiudizio di non poter essere uno strumento di integrazione per il bambino, quando invece la letteratura scientifica dimostra il contrario. L’assistente alla comunicazione sordo si rivela molto terapeutico sia per i genitori udenti sia per i bambini sordi. Essa si mostra ai loro occhi come persona, sorda, adulta, serena, preparata, intelligente, che lavora e vive una vita normale come tutti gli esseri umani. Questa è fonte di grande speranza per i genitori, in quanto nella nostra cultura occidentale siamo sempre orientati e preoccupati più per il futuro dei nostri figli che per il presente.
“Quante cose capiamo più tardi, mentre il debole le capisce prima, nell’economia lucida e lungimirante delle sue risorse”.