Ne è un esempio il linguaggio dei sordomuti. Nonostante la buona impostazione dell’insegnamento del linguaggio parlato, quest’ultimo rimane allo stato embrionale nel bambino sordomuto, perché il mondo chiuso nel quale vive non ne crea in lui l’esigenza. Si riesce ad insegnare il linguaggio parlato ai sordi facendo loro leggere i movimenti delle labbra, associando diverse idee a una serie di movimenti, in pratica, insegnando loro a “sentire con gli occhi”. Questo metodo è nettamente superiore agli altri, alla mimica (metodo francese), all’alfabeto digitale (dattilologia, scrittura nell’aria), perché rende possibile la comunicazone del sordo con le persone normali e serve come strumento di elaborazione del pensiero e della conoscenza. Ma appena lo si mette in pratica, si incontrano delle difficoltà che investono l’educazione sociale nel suo insieme. L’insegnamento del linguaggio parlato dà infatti risultati estremamente deplorevoli. Il suo apprendimento porta via molto tempo, di solito non insegna a costruire logicamente una frase, insegna la dizione e fornisce un vocabolario limitato. Grazie all’estrema rigidità e alla costrizione esercitate sul bambino, questi riesce ad apprendere il linguaggio parlato, ma il suo interesse personale è rivolto altrove. Nelle scuole per il recupero dei sordomuti, come evidenzia Vygotskij, tutto va contro l’interesse dei bambini. Gli istinti e le tendenze infantili non vengono resi alleati nell’educazione, ma nemici; il problema dell’insegnamento del linguaggio parlato non riguarda la metodologia dell’articolazione ma l’educazione sociale nel suo insieme. “Il sistema d’insegnamento della lingua e dell’educazione dei bambini sordomuti, che si è ristrutturato sotto i nostri occhi, esige un esame approfondito e dettagliato delle leggi dello sviluppo del bambino sordomuto, nella struttura e nella dinamica della sua personalità. Bisogna organizzare la vita del bambino in modo tale che il linguaggio sia per lui necessario e interessante […] che nasca dalla necessità di comunicare e di pensare; il pensiero e la comunicazione appaiono come risultato dell’adattamento alle complesse condizioni ambientali […] ai sordomuti usciti dalla scuola, manca la capacità di affrontare i fenomeni e le esigenze della vita sociale, e questo accade perché la stessa scuola li isola dalla vita” (ibid., pp. 293-308). “Anche i ciechi, come i sordomuti, vengono separati dalla massa comune degli studenti e posti in condizioni particolari. Si ragiona come se la natura, privandoci di uno dei sensi, compensasse questa carenza con l’insolito sviluppo dei sensi rimanenti; una opinione comune, saldamente radicata alla falsa concezione della compensazione biologica del deficit. È indispensabile eliminare l’educazione dei ciechi basata su questo isolamento e sull’idea dell’invalidità e cancellare il confine fra la scuola speciale e quella normale: l’educazione del cieco deve essere organizzata come l’educazione del bambino capace di un normale sviluppo, l’educazione deve effettivamente creare dal cieco un uomo normale, socialmente integrato. Quando ci troviamo davanti ad un bambino cieco come oggetto di educazione, bisogna trattare non tanto la cecità in se stessa, quanto i conflitti che nascono nel bambino cieco quando entra nella vita, quando avviene la sostituzione dei processi che determinano tutte le funzioni. Le attività scolastiche vengono presentate loro in modo artificioso dal quale sono esclusi gli elementi collettivi e organizzativi: i vedenti si fanno carico di queste funzioni, mentre il cieco si limita ad eseguire in solitudine. Occorre una scuola che inserisca nella vita del cieco il lavoro produttivo professionale, dal quale non sia escluso il momento socialmente organizzato, il più prezioso dal punto di vista educativo. E, la moderna scienza deve dare al cieco il diritto al lavoro nella società non nelle sue forme restrittive, che risentono della concezione filantropica (come è stato fatto fino ad ora) ma nelle forme che rispondono alla vera essenza del lavoro, l’unica in grado di dare alla personalità una indispensabile posizione sociale”